Autostrade del Mare, De Rosa: «Corridoi verdi per una logistica sostenibile»

Autostrade del Mare, De Rosa: «Corridoi verdi per una logistica sostenibile»

Vedo la fila di autoarticolati in coda. Oggi c’è l’innesto con l’A26 chiuso per un incidente e c’è solo l’A7 per viaggiare verso nord. Procediamo a rilento, spesso siamo fermi, lungo il primo tratto, a causa di due cantieri. Sono deserti, segno che la società concessionaria non considera i lavori un’emergenza, se santifica i weekend con il riposo. Vedo quegli autoarticolati e immagino che anche per quegli autisti – che molti automobilisti accusano di contribuire al disagio sul manto asfaltato – deve essere dura. Così, ripenso alle Autostrade del Mare, che hanno tolto tanti di quei mezzi pesanti dalla strada. E ripenso all’idea dei “corridoi verdi”. Ne avevamo parlato per le navi, ma vale anche per quelle motrici.

I corridoi verdi

Un recente studio, “The next wave: Green corridors”, realizzato da Getting To Zero Coalition con il supporto analitico di McKinsey e in collaborazione con il Global Maritime Forum, Friends of Ocean Action, il World Economic Forum, Mission Possible Partnership e la Energy Transitions Commission, suggerisce l’idea dei “corridoi verdi”, vie sperimentali e in un certo senso apripista per la svolta green, da adottare su alcune delle rotte intercontinentali delle merci, ad esempio quella delle grandi portacontainer che fanno la spola tra America e Far East.

Da qui, l’ulteriore idea: se è vero che le Autostrade del mare sono una sorta di equivalente delle grandi direttrici oceaniche, ma su rotte più brevi, perché non puntare anche su questi ultimi collegamenti per dare vita a “corridoi verdi”? Perché non trasformare, insomma, l’insieme di queste rotte essenziali per il Mediterraneo e per l’Europa, già esempio di risparmio energetico e di abbattimento delle emissioni (oltre che di apertura dei mercati), in una rete per la transizione ecologica? Le Autostrade del mare, allora, potrebbero diventare “corridoi verdi” – leggi rotte, ma anche porti e indotto – ove sperimentare nuove tecnologie, finanziare le ricerche per l’innovazione (gli armatori chiedono l’istituzione di un fondo, per altro da loro stessi alimentato), applicare e quindi testare nuove normative, affinare nuovi equilibri e premiare con finanziamenti e sgravi fiscali navi, porti, logistica, autotrasportatori.

«Le Autostrade del mare come corridoi verdi? È un’intuizione interessante, una suggestione di grande presa che potrebbe far convergere anche molteplici misure e discipline verso una modalità importante – il trasferimento delle merci – che può generare una nuova e sana economia». dice Domenico De Rosa, CEO di SMET e presidente della commissione Autostrade del Mare di ALIS, l’associazione per la logistica sostenibile.

Una logistica sostenibile

Il Gruppo SMET è uno dei pionieri dell’intermodalità nave-strada. L’embrione dell’azienda nasce nel 1947, con Domenico De Rosa diciamo senior, che comincia a trasportare merci nel Dopoguerra come camionista. Nel 1975 l’impresa si sviluppa e si struttura con il figlio, Luigi De Rosa, che sarà insignito del Cavalierato del Lavoro, e cresce oggi con i figli Andrea e Domenico. SMET, basata a Salerno, ha oltre trenta sedi in Europa e circa 5.500 unità di carico (tutte le tipologie di mezzi di trasporto). Sulle Autostrade del Mare il gruppo SMET inizia a puntare sin da subito, negli Anni Novanta, con una partnership con il gruppo Grimaldi, tuttora salda. Compagnia di navigazione che è leader su queste rotte, che dal Mediterraneo si spingono al Nord Europa, con le sue navi. «Mio padre aveva intravisto fin dall’inizio l’opportunità di trasformare la mobilità delle merci da tutto strada a combinato. Aveva visto quello che sarebbe dovuto essere e che è stato», dice il figlio Domenico.

L’intermodalità di cui parliamo si svolge essenzialmente con motrici che portano e lasciano il carico a bordo, il quale via mare è trasportato nel porto più vicino alla destinazione. Qui, viene scaricato e preso in consegna da un’altra motrice che lo trasporta a destinazione, percorrendo il cosiddetto “ultimo miglio”, leggi ultimo tratto. Ovviamente, così si risparmia strada da coprire sulle lingue di asfalto, con tutto ciò che ne consegue. “Grazie alle Autostrade del Mare sono stati sottratti 5 milioni di mezzi dalla strada e 125 milioni di tonnellate di merci. E ancora, sono state abbattute emissioni di CO2 in Europa per 4,4 milioni di tonnellate e sono state risparmiate esternalità ambientali allo Stato per oltre 2 miliardi di euro».

Con De Rosa, intavolo anche il discorso della convenienza. Ora, è lampante che sotto il profilo ambientale (in senso lato, ci metto anche il disagio del traffico) togliere camion dalle strade è un passo in avanti. Ma alle aziende, volendo metterla giù più gretta, conviene? «Non si può declinare la sostenibilità a un mero conto di spese ed entrate. Il concetto va declinato secondo diversi aspetti: c’è la sostenibilità ambientale, economica, sociale. Se io imbarco le merci sulle navi, ad esempio, renderò più sostenibile il mio parco autisti, perché non li farò viaggiare per migliaia di chilometri, ma li lascerò in un ambito regionale».

Insisto, con la domanda sulle spese. «Troppo semplicistico, messa così. Non si può comparare il trasporto su strada con quello intermodale solo sotto il profilo delle spese vive. Sono modalità di trasporto che rispondono a concetti di logistica e rigidità differenti. Un esempio su tutti: se io viaggio con la mia auto, sono padrone del mio tempo, se lo faccio con l’aereo non lo sono». La sostenibilità, spiega De Rosa, deve essere intesa come «etica d’impresa, deve avere un senso ‘alto’, non basso del mi conviene di più o di meno. Talvolta è possibile che il passaggio via mare possa costare anche di più, ma il risultato va visto nel lungo periodo».

Torniamo, dunque, ai dati di partenza. Quei 5 milioni e mezzo di camion tolti dalla strada. «Le Autostrade del mare sono una best practice tutta italiana che il mondo ci invidia», dice ancora De Rosa. Ora, volendo ampliare l’orizzonte, ci sarebbe anche la ferrovia in alternativa alla strada. «Una modalità interessante, ma non è paragonabile a quella delle Autostrade del Mare. In primis, per la capacità: una nave trasporta 500 camion. Imbattibile. E poi, una nave è replicabile, dipende solo da quanto l’armatore vuole investire per aumentare la flotta. Le ferrovie sono invece contingentate e uniche: se passo io, non può passare un altro. E questo è un grande limite».

La politica che non capisce

Con il CEO di SMET parlo, ovviamente, anche della mia disavventura sulle autostrade del nord ovest. «L’Italia è carente dal punto di vista delle infrastrutture ed è ostaggio di cantieri permanenti lungo tutte le direttive del traffico. Conosco bene anche la situazione del nord ovest, purtroppo. Anch’io sono un automobilista e quando sono in coda e vedo tutti quei mezzi pesanti in fila mi chiedo: perché? Ora, non si possono eliminare i camion che operano sul porto di Genova, che appunto sbarcano i carichi e percorrono l’ultimo miglio. Ma sulle autostrade ligure vedo anche tanti camion che non hanno nulla a che fare con lo scalo genovese e che passano da quest’ultimo nodo per andare in Francia e poi in Spagna. Mi chiedo, ma perché allora non compiere quella stessa rotta via mare?».

Il punto dello sviluppo e del potenziamento delle Autostrade del Mare, volenti o nolenti, porta con sé anche la considerazione e conoscenza di queste rotte della politica, deputata poi a normare e a decidere sostegni. Non ci sono fanfare. «Purtroppo questa best practice non trova il giusto riconoscimento da parte della politica. Abbiamo visto istituire nel 2002 l’ecobonus (agevolazioni per gli autotrasportatori che sceglievano l’intermodalità nave-strada), che è stato finanziato con la Legge Finanziaria del 2007 con 77 milioni di euro l’anno. Poi, nel 2016, la Legge di Stabilità ha riformulato l’incentivo, coinvolgendo anche le compagnie armatoriali e riducendo la dotazione a 50 milioni l’anno. Nel 2021, infine, la Legge di Bilancio ha portato una ulteriore riduzione a 25 milioni l’anno».

Ci sono state pressioni di Alis, il governo con decreto ha aumentato la cifra da 25 a 45 milioni. «Una dotazione ancora non sufficiente. Noi chiediamo almeno 100 milioni l’anno, nella convinzione che gli investimenti nella sostenibilità degli imprenditori vadano sostenuti da misure e dotazioni idonee».

Il green vale anche terra

Si parla molto di transizione ecologica, di svolta green. Sul mare è già cominciata, con le navi alimentate a gas naturale liquefatto, con l’idea di elettrificare i porti per abbattere le emissioni dei generatori delle unità all’ormeggio, con la riduzione dei fumi delle navi stesse. E a terra? «Dal 2014 come SMET abbiamo abbracciato la decarbonizzazione delle trazioni con l’apertura a veicoli alimentati a gas naturale liquefatto. Oggi, l’unica soluzione per un veicolo a ridotto impatto ambientale. Insieme con il partner Iveco stiamo perseguendo il percorso di investimento attraverso l’evoluzione del bio-LNG». All’orizzonte?, chiedo. «Probabilmente ci saranno l’elettrico e l’idrogeno, ma per il momento non vediamo ancora sotto questo profilo proposte concrete da parte dei costruttori».

Navi più green, motrici dunque più green a terra per la movimentazione delle merci. Chiedo se ci sono sostegni pubblici, per quest’evoluzione dei mezzi. «C’è sempre una misura incentivante dello Stato, che è erga omnes e che abbraccia anche il diesel, ma stiamo parlando di poca cosa, di una contribuzione del 10% della spesa».

Evoco, a De Rosa, anche l’acronimo PNRR. «Stiamo attribuendo al PNRR un potere salvifico per ogni cosa. A dire il vero, io sono un po’ scettico: non mi sembra che la dotazione sia all’altezza dei compiti che vengono attribuiti al Piano. Considerati i movimenti inflattivi e il cambio di priorità, temo sia già uno strumento vecchio e fortemente sottodimensionato. Auspico, pertanto, che venga fatto al PNRR un “tagliando” urgente, attualizzandolo alle priorità dello Stato e di comparti, logistica inclusa. Diversamente, il rischio è quello di andare in una direzione diversa a quella in cui dobbiamo arrivare».

Ecco perché quando gli parlo di svolta green, De Rosa – che crede nella sostenibilità, che parla di un futuro migliore con fonti di energia alternativa – sostiene che ci sia un’agenda da rivedere. «Alla luce delle nuove sanzioni alla Russia e le conseguenze, che vedremo ad ottobre-novembre, credo che l’agenda dei prossimi anni dovrà essere rimodulata. Dovremo andare a resettare l’equilibrio economico esistente e ricostruirne un altro e ci vorrà una misura del governo molto più spinta di quelle finora utilizzate».

Una misura coraggiosa, innovativa, sperimentale. Così, rilancio. In questa scia non potrebbero rientrare anche idee come le Autostrade del Mare quali “corridoi verdi”? «Potrebbe essere una opportunità di sviluppo in un momento di grande cambiamento».

Fonte: La Stampa