L’importanza delle infrastrutture all’indomani di Suez

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L’importanza delle infrastrutture all’indomani di Suez

Il mese di marzo sarà certamente ricordato dal punto di vista economico anche per il clamoroso blocco del Canale di Suez dal 23 al 29 marzo scorsi che ha provocato l’interruzione del transito di merci di vario tipo, che sono state stimate in un valore totale di 9 miliardi di dollari. Penso che, purtroppo, per molti mesi avremo problemi alla catena di approvvigionamento e assisteremo alle ripercussioni sul mercato mondiale che se sommate all’impennata dei costi delle materie prime chiaramente condizionerà negativamente la ripresa post Covid19.

L’incagliamento della portacontainer Ever Given, che ha causato il blocco di circa 400 navi alle due estremità del Canale, fa certamente riflettere sulle modalità del commercio internazionale, oggi fortemente dipendente dalle catene di approvvigionamento globale.

Ma non solo. Suez è infatti uno dei più importanti punti di passaggio marittimo, dal quale transita circa il 12% dei traffici mondiali: è la prima infrastruttura a livello globale, la più strategica. In questi 6 giorni abbiamo toccato con mano quello che può succedere quando un’infrastruttura di queste dimensioni registra un problema e viene improvvisamente meno alle sue funzioni.

Ed è proprio per questo che il tema delle infrastrutture deve necessariamente tornare ad essere centrale nel dibattito politico, la loro efficienza è strategica per lo sviluppo economico e secondo noi il valore di un paese si misura proprio nel valore e nell’efficienza ed efficacia delle sue infrastrutture. In Italia la totale fruibilità delle infrastrutture è una priorità assoluta. Pensiamo per esempio alla rete autostradale della Liguria, che ospita il primo sistema portuale in termini di volumi movimentati, diversificazione produttiva e valore economico per non parlare di tutta la rete appenninica e dei viadotti adriatici costantemente interrotti. E penso anche al Mezzogiorno, storicamente caratterizzato dall’arretratezza delle connessioni tra gli snodi logistici.

Secondo noi lo stato in cui versa la rete infrastrutturale italiana è un problema molto serio, una criticità preoccupante, sulla quale il Governo Draghi dovrà intervenire tempestivamente, attingendo anche ai fondi del Recovery Plan per sviluppare, finalmente, un nuovo piano integrato di rinnovamento, capace di esprimere una visione d’insieme delle priorità del Paese.

In Italia lo sviluppo dell’intermodalità, con tutte le opportunità che ne conseguono, è fortemente frenato dalla mancanza di un networking efficiente tra rete autostradale, ferroviaria, porti e interporti: «Solo concentrando le forze del Recovery Plan in questa direzione potremo finalmente usufruire di una mobilità smart e green».

L’intermodalità e la logistica integrata saranno il vero volano dell’Italia post Covid. A questa voce la bozza del Recovery Plan assegna solamente 3,68 miliardi di euro, riconoscendo parzialmente la priorità di una vera integrazione tra ferrovia e porti, che è dirimente per migliorare la competitività degli scali italiani. Ci auguriamo però che la situazione che stiamo vivendo contribuisca a snellire effettivamente la burocrazia, la quale in Italia ed in Europa ha saputo mettersi negativamente in mostra anche relativamente ai piani vaccinali rallentandoli fortemente rispetto ad altri Paesi del mondo causa un fatale rallentamento della ripresa economica e della riduzione della diffusione pandemica. I fondi del Recovery Plan non potranno certamente sostituire gli investimenti privati, ma dovranno sommarsi ad essi. Solo snellendo le procedure il Paese potrà rimettersi in movimento e finalmente tornare a suscitare l’interesse degli investitori nostrani e stranieri.